I dati inps sono impietosi e tracciano un quadro estremamente contraddittorio del nostro paese: sono state infatti oltre un milione, 1.080.245 per la precisione, le dimissioni dal lavoro registrate dall’Inps nei primi sei mesi del 2022. Il numero rappresenta un forte aumento del 31,73% rispetto allo stesso periodo del 2021, le dimissioni hanno riguardato tutte le tipologie di contratto mentre se si guarda solo a quelle da contratto a tempo indeterminato le dimissioni sono cresciute del 22,18% passando dalle 510.762 dei primi sei mesi del 2021 a 624.047 nello stesso periodo del 2022. «Il livello raggiunto - sottolinea l’Inps a proposito delle dimissioni da contratti stabili - sottende il completo recupero delle dimissioni mancate del 2020, quando tutto il mercato del lavoro era stato investito dalla riduzione della mobilità connessa alle conseguenze dell’emergenza sanitaria». Per i licenziamenti di natura economica si è passati da 83.809 dei primi sei mesi del 2021 a 186.420 nello stesso periodo del 2022 (+122,43%) ma il confronto non può essere completo in quanto nello stesso periodo dell’anno precedente era ancora in vigore il blocco dei licenziamenti.
Ma quali sono le ragioni, a parte quelle elencate dall’inps, di questa emorragia che è conosciuta con il nome di the great resignation? Sicuramente un ruolo principale è giocato dal rapporto esistente tra salari bassi, costo della vita e costi accessori a carico del lavoratore. Sempre secondo i dati inps sono infatti moltissimi i giovani, tra i 20 e i 29 anni, che guadagnano meno di 876 euro al mese: in Europa solo la Romania fa peggio, mentre il dato della Bulgaria e dei paesi baltici è migliore di quello italiano. Le buste paga del bel paese sono ferme dal 1990 e quest’anno i numeri impressionanti della inflazione ridurrà di un altro 3% il potere d’acquisto, con un totale 3,5 milioni di giovani a rischio povertà pur in presenza di una occupazione.
Sono oltre 300 mila, sempre nella fascia tra 20 e 29 anni, i giovani lavoratori in Italia che vivono già in condizioni di estrema povertà, Il numero ha raggiunto il 13,1% nel 2021: quasi record d’Europa, dove, secondo le stime Eurostat, l’Italia ha toccato il record negativo nel decennio. Pur lavorando, infatti questi giovani che svolgono le mansioni più disparate, guadagnano meno di 10.591 euro all’anno, con un introito lordo che si attesta sotto gli 876 euro al mese, ovvero addirittura meno del Reddito di cittadinanza.
A questo dato se ne aggiunge uno ancora più allarmante che rende bene l’idea di come il patto generazionale si sia oramai interrotto: in Italia gli over 65 detengono più ricchezza e patrimonio rispetto a quella detenuta dalle generazioni più giovani.
Inoltre i rischi delle dimissioni di massa non riguardano solo i lavori meno specializzati, ma riguardano anche i cantieri, gli studi professionali, le aziende edilizie, tutte attività che necessitano di mano d’opera e competenze specializzate per poter continuare ad operare.