L’ex presidente della Federazione Russa Medvedev ha avvertito che il prezzo del gas potrebbe crescere ancora di più, fino a toccare cifre capaci di mettere in ginocchio l’intero sistema produttivo italiano che si basa su un grande numero di piccole/medie imprese e studi professionali, tutte realtà che potrebbero non avere la forza di reggere all’urto di ulteriori aumenti. Nel frattempo l’Unione Europea si prepara a un inverno molto difficile annunciando misure cervellotiche e pacchetti di riduzione energetica che si basano, come ogni azione europea, esclusivamente su un vago ripescaggio della Austerity, principio che ha sempre fallito e che ha il solito effetto di impoverire piccole imprese e famiglie e di arricchire i grandi gruppi industriali e finanziari che speculano da anni sulla recessione o, recentemente, su guerra e pandemia. Invece di risolvere il problema alla radice ripensando magari alla natura e all’entità delle sanzioni alla Russia, in Europa si parla di insegne chiuse, porte chiuse e tutte altre idee eccessivamente approssimative che nascondo da una idea molto discutibile del concetto stesso di risparmio.
In Italia Draghi ha già annunciato che per fronteggiare la crisi energetica ci saranno aiuti e scostamenti di bilancio, ma che il governo, ancora in carica per le questioni più urgenti, prenderà in considerazione tutte le ipotesi. E’ noto che da tanti mesi l’ISTAT sta mettendo in guardia gli operatori economici, snocciolando dati preoccupanti che prevedono che ci sarà un’ulteriore aumento dei prezzi, il che potrebbe portare l’inflazione a raggiungere livelli impensabili che vanificherebbero di fatto quasi tutti i programmi di PNRR, costringendo il futuro governo a rivederne i piani e la portata di crescita economica. In aggiunta a questo scenario poco roseo, c’è il rischio che i costi eccessivi energetici possano anche bloccare anche i tanti cantieri e i tanti lavori che stanno tenendo il paese in piedi in questi mesi difficili.
Lo scenario che si prospetta è anche aggravato dal fatto che sembrano mancare proprio le energie programmatiche e le visioni di insieme per arginare un problema che, complice la politica dei vari “no” accumulatisi negli anni, è relativo alla eccessiva dipendenza energetica italiana che la espone troppo alle turbolenze internazionali di qualsiasi tipo. Da sola inoltre la rivoluzione green non basta e per reggere l’onda d’urto di un vero e proprio tsunami che potrebbe portare il prezzo del gas ad aumentare addirittura del 600% tra settembre e febbraio, servirebbero misure alternative di reperimento e produzione energetica capaci di muoversi su di un orizzonte temporale lungo almeno un decennio.
Per adesso, a parte idee discutibili e ingenue su porte e insegne chiuse dei negozi, non si vede nessuna politica che sia in grado di prendere il problema di petto e di scongiurare la chiusura di moltissime piccole e medie imprese che sono quelle che hanno sempre tenuto a galla il paese.