Dal rapporto del Centro Studi CNI, dal 1968 ad oggi spesi 135 miliardi per emergenza e ricostruzione post sisma ma mancano dati puntuali sullo stato di salute degli immobili
Le spese sostenute dallo Stato dal 1968 ad oggi per gli interventi in emergenza e per la ricostruzione dopo eventi sismici particolarmente gravi sono davvero consistenti. In quasi 60 anni sono stati stanziati poco più di 135 miliardi di euro, dei quali 20 miliardi dovrebbero essere spesi ancora fino al 2047. Questo è solo uno dei dati del rapporto del Centro Studi CNI “Per un piano di prevenzione del rischio sismico in Italia” che ha contribuito ad alimentare il dibattito e il confronto sul tema in occasione della settima Giornata Nazionale della Prevenzione Sismica tenutasi a Roma lo scorso martedì.
Come afferma Angelo Domenico Perrini, Presidente del CNI, “Nel corso del tempo lo Stato, di fronte ad eventi distruttivi, ha adottato un approccio che potremmo definire ‘inclusivo e mutualistico’. Si è sempre previsto che i costi di ricostruzione sarebbero stati a carico delle finanze pubbliche e che la ricostruzione ed il sostegno alle popolazioni colpite da sisma non sarebbero durati per periodi brevi ma per decenni, coscienti che la ricostruzione e la ripresa di un territorio richiedano tempi lunghi. Tuttavia, anche in considerazione delle ingenti risorse impiegate in tutti questi anni, ci si chiede se non sia utile intervenire in modo capillare e ben calibrato a seconda delle caratteristiche e livelli di rischio dei singoli territori del Paese, con opere per la mitigazione del rischio sismico e la messa in sicurezza degli edifici. Questa è esattamente la posizione che noi ingegneri sosteniamo da tempo. E’ vero che di recente si è previsto di utilizzare risorse pubbliche per la realizzazione di opere di messa in sicurezza degli edifici. In questo senso, gli incentivi fiscali che hanno preso il nome di sismabonus ordinario (2013) e di Supersismabonus (2020) parlano chiaro. Il problema è che questi interventi non sono mai ricaduti in un quadro organico o in una sorta di Piano chiaramente definito nei costi, nelle modalità di finanziamento, nelle modalità di intervento nei singoli territori e nei tempi di realizzazione delle opere. Su questo terreno resta ancora molto da fare”.
Secondo l'indagine, dal terremoto della Valle del Belice fino ad oggi, lo Stato ha speso oltre 2 miliardi l’anno per interventi ricostruttivi. E’ facile intuire come, sul piano strettamente economico, convenga puntare piuttosto sulla mitigazione del rischio sismico e sulla prevenzione. Ciò vale a maggior ragione se consideriamo l’enorme numero di vite umane che potrebbero essere salvate e l’inestimabile patrimonio storico e culturale che si potrebbe preservare. Tra gli elementi che ostacolano maggiormente la messa in pratica di tale approccio c’è la sostanziale carenza di dati di dettaglio, quali ad esempio la conoscenza del reale stato di conservazione di ogni edificio oppure dove sono state realizzate le opere di prevenzione sismica finanziate con i sismabonus per un totale di spesa di oltre 40 miliardi di euro. Si tratta di informazioni che consentirebbero di rendere concreto un piano di azione che preveda in successione di: a) quantificare per ciascuna microzona geografica di rischio la spesa media di intervento; b) stabilire il quadro delle priorità di intervento; c) calendarizzare gli interventi in modo da procedere per gradi; d) disporre di un sistema di incentivi certi e fissi nel tempo, per un arco temporale lungo. Una linea di azione chiara ed efficace ma che senza le necessarie informazioni rischia di rimanere sulla carta.
“Nel dibattito, ormai decennale, sull’opportunità di disporre di un Piano di intervento per la prevenzione del rischio sismico – afferma Marco Ghionna, Presidente del Centro Studi CNI - vi è un “convitato di pietra” che non ci consente di fare un vero salto in avanti: si tratta della mancanza di dati di dettaglio sullo stato di sicurezza strutturale degli edifici residenziali. Il Centro Studio CNI stima che un intervento estensivo costerebbe allo Stato 219 miliardi di euro e della stessa dimensione sarebbe la quota di spesa che i proprietari di immobili dovrebbero realizzare. Ma si tratta di stime da affinare con dati migliori di quelli di cui disponiamo oggi. Possiamo dire con certezza che nonostante molti sforzi siano stati messi in campo, ci siamo mossi in un quadro disorganico, sempre rincorrendo l’emergenza. Non siamo in grado di fare prevenzione perché in realtà non sappiamo con esattezza dove intervenire e non conoscendo in modo analitico lo stato di degrado del patrimonio edilizio non siamo in grado di quantificare neanche le risorse necessarie per intervenire nel lungo periodo. Per questi motivi, l’analisi realizzata dal Centro Studi CNI in occasione della VII Giornata Nazionale della Prevenzione Sismica può essere la base di partenza per ragionare, prendere atto di una serie di criticità, capire come affrontarle e stabilire con esattezza quante e quali risorse sono necessarie, e con quali tempi, per avviare un piano credibile di interventi sul territorio nazionale.”
Comunque sia, fatta salva la mancanza di dati di dettaglio sullo stato degli immobili, il Centro Studi CNI ha provato ad elaborare una stima di massima per comprendere l’ordine di grandezza di un intervento estensivo sugli immobili residenziali. Con i pochi dati a disposizione e considerando che negli ultimi anni su alcuni immobili si è intervenuti con opere di mitigazione del rischio sismico, il perimetro di intervento effettivo potrebbe attestarsi a 18 milioni immobili residenziali. Gli interventi ad essi relativi, considerando livelli diversi di spesa media per metro quadro a seconda del grado di rischio sismico associato ad ogni area del Paese, richiederebbero una spesa pubblica di 219 miliardi di euro. E’ bene evidenziare che la parte restante dovrebbe essere a carico dei singoli proprietari di immobili. Considerando la necessità di distribuire l’impegno su un periodo lungo, nell’arco per esempio di 30 anni, la messa in sicurezza del patrimonio immobiliare costerebbe circa 7 miliardi di euro all’anno. Vale la pena di ribadire che questi dati vanno presi con beneficio di inventario e che occorre disporre di una mappatura precisa dello stato di rischio degli edifici. In questo caso potremmo addirittura scoprire che le risorse necessarie per opere di prevenzione del rischio sismico potrebbero costare meno di quanto ipotizzato.
A differenza degli anni scorsi, oggi una stima dei costi necessari per intervenire sugli edifici residenziali, in una prospettiva di prevenzione del rischio sismico, non può prescindere da elementi nuovi nel frattempo emersi dal dibattito pubblico. Uno di questi è rappresentato dall’uso estensivo delle polizze catastrofali contro eventi sismici. Attualmente sappiamo che solo il 5% degli edifici è assicurato contro il rischio sismico a fronte di almeno il 50% esposto a rischio sismico grave. Sembra essere giunto il momento di considerare un mix tra interventi di prevenzione del rischio e sottoscrizione obbligatoria della polizza al fine di contemperare esigenze e obiettivi diversi. Sono valutazioni, queste, che gli ingegneri mettono a disposizione delle Istituzioni per aiutarle a definire il quadro di partenza, senza il quale l’avvio di qualunque Piano di prevenzione del rischio sismico nel nostro Paese sarà destinato a rimanere una buona intenzione.