La pandemia frena la corsa dei liberi professionisti. Sono 38mila i liberi professionisti che hanno chiuso i battenti nel 2020, con calo del -2,7% rispetto al 2019. I più colpiti sono stati gli studi professionali con dipendenti, calati del 7%, ma più in generale è tutta l’area del lavoro indipendente a soffrire, lasciando sul campo 154mila posti di lavoro (-2,9%). La crisi ha picchiato più duro al Nord, dove si è registrato il calo più forte tra i liberi professionisti (-6,6%). Più contenuta invece la flessione nel Centro-Sud dove alcune regioni (Sardegna, Basilicata e Sicilia) mostrano invece segnali di ripresa. A crollare, però, non è solo il numero ma anche il reddito dei professionisti, senza distinzioni tra ordinistici e non, dove persiste ancora un forte divario reddituale tra uomini e donne.
Questo è quanto si legge in una nota di Confprofessioni. «Nel 2020 l’impatto del Covid sull’economia italiana è stato drammatico», commenta Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni, «ma nel corso del 2021 stiamo assistendo a una robusta risalita del Pil: le previsioni indicano un recupero di oltre 6 punti percentuali a fine anno. Un dato sorprendente non solo perché migliore rispetto a tutti i grandi Paesi europei, ma perché riconducibile in larga parte all’anticipazione degli investimenti e della produzione ingenerati dalla fiducia innescata dal governo Draghi e dalle attese sulle ricadute future del Pnrr sul sistema economico nazionale. In questo scenario», prosegue Stella, «il mercato del lavoro ha sostanzialmente retto l’urto della pandemia, calando nel corso del 2020 di soli 2 punti percentuali. Tuttavia, gli ultimi dati ci confermano che stiamo assistendo a una riconfigurazione strutturale dell’occupazione in Italia che penalizza autonomi e professionisti rispetto ai lavoratori dipendenti».
Dieci anni di crescita, trainata dalle donne. La fotografia che emerge dal Rapporto di Confprofessioni raffigura un mondo in bilico tra ripresa e resilienza. Nel 2020 sono circa 1 milione e 430 mila i professionisti in Italia, che nonostante la frenata causata dalla pandemia, registrano un aumento di quasi 250mila unità in più rispetto al 2009 – in netta controtendenza rispetto agli altri comparti del lavoro indipendente – che ridisegna la mappa delle attività, le caratteristiche demografiche e geografiche delle professioni.
Nonostante gli uomini rappresentino il 64,4% della popolazione professionale, sono le donne a sostenere la crescita occupazionale degli ultimi 10 anni con un aumento di circa 165 mila unità rispetto al 2010 (le regioni più “rosa” sono la Sardegna, la Lombardia e il Lazio), mentre la popolazione maschile sale di circa 47 mila unità. Il balzo delle professioniste si riscontra un po’ in tutti i settori di attività, ma in particolare nell’area sanitaria (52,8%) e legale (49%); più indietro le professioni tecniche. L’analisi dell’Osservatorio evidenzia poi come il gender balance sia più equilibrato soprattutto nella popolazione più giovane: un dato che proietta la professione verso un sostanziale equilibrio di genere.
I settori che crescono e quelli che calano. Sulla spinta dei giovani e delle donne, l’area sanitaria è quella che cresce maggiormente in termini quantitativi, rappresentando il 19% del totale dei professionisti nel 2020. A ruota i servizi alle imprese (17%) e l’area tecnica (17%) che, però, perde terreno rispetto a dieci anni fa. Nell’ultimo anno, l’impatto del Covid – 19 si fa sentire soprattutto nelle professioni a maggior specializzazione e in quelle dell’area tecnica, dove si registrano le maggiori perdite occupazionali che investono anche il lavoro autonomo.
Se il settore “Commercio, finanza e immobiliare” (-11,7%) precipita a causa del blocco delle attività imposto dal lockdown, perdite più contenute riguardano le “Attività professionali, scientifiche e tecniche” (-1,5%) e “Sanità e assistenza sociale” (-1,5%). Un trend che si rispecchia in quasi tutte le regioni ma con intensità diverse. Le più colpite sono quelle del Nord che segnano in media un calo del 6,6%, quelle del Centro scendono dell’1,3%, mentre il Mezzogiorno si muove in controtendenza, segnando un incremento del 3,5%, sospinto dai “servizi alle imprese” e dalla “sanità”.
La riscossa del Mezzogiorno. E sono proprio le regioni del Sud a sostenere le professioni durante la pandemia. Sardegna, Basilicata e Abruzzo trainano una ripresa occupazionale, che frena nelle regioni del Nord dove si registra in media una flessione di oltre il 7% con punte che superano il 20% in Val d’Aosta. Al di là dell’effetto Covid – 19, tuttavia, quasi la metà dei liberi professionisti italiani si trova al Nord, con oltre 706 mila unità che rappresentano il 48,5% del totale, in flessione rispetto al 2009. Balzo in avanti, invece, per il Mezzogiorno che si attestano a quota 385 mila, scavalcando le regioni del Centro scese a quota 365 mila. Numeri che nel complesso valgono il primato italiano in Europa, dove il nostro Paese vanta un tasso di presenza della libera professione più che doppio rispetto a Germania e Spagna e nettamente superiore a quello della Francia.
Ancora giù i redditi. Secondo i dati dell’Osservatorio di Confprofessioni la pandemia si fa sentire anche sulla redditività. Il reddito annuo medio dei professionisti iscritti alla Gestione separata dell’Inps è crollato da 25.600 euro del 2019 a 24.100 euro del 2020, con una variazione annua del -5,7%. E lo stesso trend si registra per i professionisti iscritti alle Casse previdenziali, dove però emerge una realtà piuttosto eterogenea. Nel 2019 i redditi dei professionisti ordinisti si stabilizzano a quota 35.500 euro: un dato negativo rispetto ai 37.500 euro del 2010.
Allargando l’orizzonte temporale agli ultimi cinque anni (2014-2019), però, si può valutare meglio le dinamiche reddituali delle diverse categorie: crescono i redditi di consulenti del lavoro (+33,4%), ingegneri e architetti (+10,4%), geometri (+9,4%) e avvocati (+3,4%), mentre crollano quelli degli agrotecnici (-37,2%), periti agrari (-30,8%) e infermieri (-15,3%). Un altro aspetto di criticità è dato dal divario reddituale tra uomini e donne: nella fascia d’età tra i 50 e i 60 anni, gli uomini guadagnano in media più di 23 mila euro rispetto alle colleghe donne, fenomeno molto marcato tra i notai, i commercialisti e gli avvocati. Più attenuato il gender gap nelle fasce più giovani e tra le professioni non ordinistiche, dove nel 2020 il reddito medio degli uomini supera quello delle colleghe di circa 5.600 euro.
Più laureati, più occupazione. Secondo i dati Istat elaborati dall’Osservatorio delle libere professioni, negli ultimi anni in Italia si è passati dai 172mila laureati del 2001 ai 345mila del 2020: una variazione del +101%. A crescere, di conseguenza, è anche il numero di lavoratori in possesso della laurea. La crescita occupazionale dei laureati si è tradotta in un aumento molto sostenuto del lavoro dipendente (+34,3%, pari a oltre 1 milione di posti di lavoro in più in 8 anni) ma anche in un incremento deciso del lavoro indipendente (+24,1%, pari a circa 275mila unità di lavoro aggiuntive). Le discipline più gettonate sono Scienze motorie, Informatica e Tecnologie Ict e ingegneria industriale, mentre crollano architettura, ingegneria civile e giurisprudenza. «Si tratta di un chiaro indice della trasformazione in corso in quest’universo occupazionale, interessato nel suo complesso da un calo occupazionale e al contempo da uno sviluppo delle skill e del livello di istruzione», commenta il prof. Feltrin.
Se da un lato sale il numero di laureati, la libera professione attrae però sempre meno giovani. Secondo i dati elaborati dall’Osservatorio di Confprofessioni, tra il 2010 e il 2019 i giovani che hanno ottenuto l’abilitazione per la libera professione è passato da 59.865 a 49.843, con un crollo di oltre il 16%. Una battuta d’arresto che coinvolge in particolare le professioni tecniche, ma anche commercialisti, notai e avvocati. E che si accentua ancora nel 2020 dove mancano all’appello circa 3 mila under 35.
Lo smart working. La pandemia ha costretto tutti i settori a ripensare le forme di organizzazione del lavoro. Anche i professionisti hanno dovuto fare i conti con le nuove modalità di lavoro agile. Un approfondimento specifico del “VI Rapporto sulle libere professioni in Italia” è dedicato a questo argomento. Dall’indagine svolta dall’Osservatorio di Confprofessioni emerge che l’utilizzo dello smart working nella fase della pandemia ha interessato la maggioranza degli studi professionali (58%). All’incirca un terzo dei liberi professionisti ha fatto ricorso allo smart working limitatamente al periodo di lockdown, mentre il 25% degli intervistati dichiara di continuare a utilizzare ancora il lavoro da remoto.
«Nelle fasi più critiche della pandemia il lavoro agile non è stato tanto una scelta quanto una necessità», spiega Feltrin, «tuttavia la sperimentazione “forzata” dello smart working ha consentito, di fatto, di sdoganare una modalità di lavoro precedentemente poco diffusa, consolidandone l’utilizzo al di là dello stato di necessità decretato dalla pandemia». A riguardo delle prospettive future, una quota significativa di liberi professionisti (40% circa) dichiara di intendere mantenere o introdurre a breve lo smart working indipendentemente dalle esigenze di distanziamento sociale. Nel settore legale la quota di liberi professionisti intenzionata a consolidare il ricorso allo smart working sale al 49%, mentre una limitata propensione allo smart working si riscontra solo nell’area “Commercio, finanza e immobiliare” (25%), costituita da professioni che richiedono contatti frequenti e diretti con i clienti.