A fine 2021 la spesa per il Sismabonus sarà 25 volte inferiore rispetto a quella per l’Ecobonus. Un recente studio del Centro Studi CNI dal titolo “L’impatto sociale ed economico dei Superbonus 110% per la ristrutturazione degli immobili: stime e scenari” stima infatti che, alla fine di quest’anno, la cifra spesa per interventi di abbassamento del rischio sismico sarà pari ad appena 350 milioni di euro a fronte dei 9 miliardi di euro spesi per i lavori di risparmio energetico.
La forte disparità nell’utilizzo dei due strumenti non può dipendere solamente dal fatto che il Sismabonus, perlomeno nella sua versione al 110%, sia stato introdotto più di recente rispetto agli incentivi per il risparmio energetico, o che i lavori per la messa in sicurezza sismica siano percepiti come particolarmente invasivi.
Non sembra neanche dipendere dalla carenza di edifici da mettere in sicurezza poiché, come evidenziato da numerosi studi, oltre il 70% degli immobili non è in grado di resistere ai terremoti, o, ancora, dalla mancanza di competenze tecniche, essendo l’Italia tra i leader mondiali nella produzione di tecnologie antisismiche.
Occorre, quindi, chiedersi quali altre motivazioni possano spiegare questa enorme differenza, quali le implicazioni e quali le strategie per abbassare il divario.
Per rispondere alla domanda ci vengono in aiuto gli studi di psicologia ed economia comportamentale che hanno dimostrato come gli incentivi fiscali funzionino sulla prospettiva di vantaggi e ritorni conseguiti nell’immediato, e non sulla convinzione di avere (eventuali) risultati nel lungo periodo.
Nel concreto, gli interventi di risparmio energetico coperti dall’Ecobonus consentono di ottenere benefici immediati e tangibili come, ad esempio, risparmi nella bolletta di luce e gas, o un maggior benessere derivato dal miglioramento del confort climatico dentro casa. Al contrario, con gli interventi (ritenuti oltretutto invasivi) coperti dal Sismabonus, i benefici non sono immediatamente visibili, lo sarebbero solo nel futuro e, peraltro, solo in caso di terremoti.
Un ulteriore elemento che ne frena l’utilizzo dipende dalla bassa percezione del rischio sismico tra i cittadini. Un’indagine dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) afferma che nelle zone a più alto rischio terremoti, (dove vive il 41,3% della popolazione) solo 6 intervistati su 100 hanno una percezione adeguata del pericolo presente sul territorio.
Vi è, insomma tra i cittadini una diffusa incapacità di percepire in modo corretto il rischio e di mantenere una memoria collettiva degli eventi calamitosi del passato.
Come scrivono gli autori del libro Oltre il rischio sismico. Valutare, comunicare e decidere oggi “è importante l’apporto della memoria e un’interpretazione consapevole della propria realtà e del proprio ambiente naturale e culturale. Ma non ne siamo capaci. E questa nostra incapacità, insieme alle logiche del consenso, costituisce l’orizzonte culturale che abbiamo di fronte e su questo cambio di orizzonte bisogna agire per rafforzare gli strumenti di prevenzione”.
Cosa fare allora per aumentare la sicurezza delle nostre abitazioni?
Bisogna agire su più fronti. E’ necessario, intanto, potenziare la diffusione della cultura della sicurezza e della prevenzione sismica tra i cittadini, per aumentare la percezione del rischio e di conseguenza esprimere una domanda più alta di sicurezza. Inoltre, il Sismabonus deve diventare una misura strutturale e permanente perché appare evidente la forte valenza strategica dello strumento, che consente di ottenere benefici, in termini economici e sociali, decisamente più̀ elevati rispetto allo stesso Ecobonus. I terremoti provocano ingenti danni alle cose e soprattutto a persone, portano ad un incremento della spesa per ricostruzione da parte dello Stato (il Centro Studi CNI valuta tale spesa in 3-4 miliardi di euro l’anno) e determinano un effetto di rallentamento della crescita economica nell’area colpita dal sisma. Appare dunque relativamente facile dimostrare che nel medio-lungo periodo l’impiego estensivo del Sismabonus, quanto meno nelle aree a maggior rischio sismico, porterà a minori costi economici e sociali.
Ma, anche nell’ipotesi che la misura venga resa permanente e nel caso in cui la risposta dei cittadini, entro un orizzonte temporale contenuto, non dovesse essere quella attesa, si dovrebbe cominciare a valutare l’opportunità di introdurre norme, da attuarsi progressivamente entro i prossimi 30 anni, che obblighino i privati ad agire, cioè a migliorare la sicurezza delle proprie abitazioni, anche accompagnando tali obblighi con la stipula di una polizza assicurativa.
Se tutto ciò non verrà fatto, saranno sicure solo le aree già colpite dai terremoti.